Punto di partenza del Cammino della memoria Itinerario inaugurato nel 78° Anniversario del 10 Novembre 1943
Km 4,600 - Tempo di Percorrenza 123 Minuti - dislivello sul mare 270 Metri
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Parrocchia di San Giovanni Battista e Bono.
La Parrocchia di Recco andò completamente distrutta nei bombardamenti del 10/11/1943 e del 27/12/1943, fu il primo edificio pubblico ricostruito nel periodo post-bellico e fu consacrato dal Cardinale Siri il 01/05/1951.
Inconfondibile e simbolicamente importante per la storia di Recco è il mosaico, opera di Santagata, che ne sovrasta l'ingresso.
Il mosaico, realizzato negli anni sessanta, vuole rappresentare la rinascita della vecchia Chiesa e del paese semidistrutto dai bombardamenti, all'interno di un'iconografia religiosa che consacra la città a San Giovanni Bono e San Giovanni Battista, contitolari della Parrocchia.
Testimonianza della ricerca di un punto di contatto tra il pre e il post bellico sono l'utilizzo nella facciata delle quattro statue degli Evangelisti, provenienti dalla facciata della vecchia Parrocchia e l'altare maggiore, datato 1787, miracolosamente salvatosi dalle devastazioni belliche.
All’interno della Chiesa, nella navata di sinistra, è presente un altare dedicato alle 127 vittime dei bombardamenti.
Lasciamo alla nostra destra la Chiesa e ci avviciniamo al viadotto ferroviario, iniziando a salire raggiungiamo via Speroni. Ci incamminiamo poi nella creuza "Scalinata Suore Maestre Pie" ed arriviamo in via Nostra Signora del Fulmine dove attraversiamo la strada carrabile e riprendiamo la Creuza che ci porta presso:
Chiesa di San Bartolomeo e di N.S. del Fulmine.
La frazione di Cotulo ha dato accoglienza a numerose famiglie di Recco, trasferitesi qui per sfuggire ai bombardamenti.
La Chiesa, intitolata a San Bartolomeo e a N.S. del Fulmine, è un piccolo gioiello incastonato nel verde degli ulivi e baciato dal sole che riflette sul Golfo Paradiso.
Questa Cappella è stata sede Parrocchiale di Recco negli anni 1943-1945, in seguito ai luttuosi bombardamenti aerei che, durante la SECONDA GUERRA MONDIALE, che portarono alla distruzione della insigne Chiesa madre e della Città.
Il weekend successivo al 15 agosto qui si svolgono i festeggiamenti in onore di N.S. del Fulmine e di San Bartolomeo.
Le prime notizie sulla Cappella sono dei primi del '600, quando fu intitolata a San Bartolomeo, San Benedetto e San Rocco. Solo 150 anni dopo si trovano le prime notizie del culto di N.S. del fulmine. Durante il periodo in cui Recco subì i bombardamenti americani, fu sede parrocchiale della città. Numerosi sono i rifugi antiaerei, oggi in proprietà private, che furono costruiti nella zona e che ospitarono le famiglie della frazione e gli sfollati del centro.
Dopo una sosta sul sagrato, dotato di panchine, proseguiamo il nostro percorso e riprendiamo una creuza che costeggia la Cappella e continua tra la macchia mediterranea tipica della zona. Lasciamo l'abitato di Cotù.
Ci Troviamo in località Custigiuin, al confine tra Cotulo e Carbonara.
Qui sorge uno dei rifugi più utilizzati dagli abitanti della zona durante la Seconda Guerra Mondiale. Si tratta, come la maggior parte dei rifugi presenti in questa zona, di una struttura dotata di un solo ingresso. La particolarità del territorio ed il gran numero di famiglie di Recco sfollate in zona, fecero sì che furono numerosi i rifugi costruiti nelle vicinanze. Gli anziani ne ricordano altri cinque oltre a questo: quelli nella villa De Gregori e nei "Ciassi" (attuale Villa Schiaffino) dotati di due ingressi ed altri tre con un solo ingresso. (nell'ex Villa Bellagamba, nei "Ciassi" e in località Villa Grande).
Tutti questi rifugi furono scavati nella roccia con mazza e "stampotto" (un particolare arnese che permetteva di incidere nella pietra dei fori in cui inserire piccole mine).
Si narra che, durante uno dei bombardamenti, alcuni ragazzi avessero recuperato una grossa scheggia di bomba e che l'avessero appesa con l'aiuto dei genitori ad un pergolato: picchiando su di essa, con un martello, davano l'avviso che bisognava scappare e ripararsi nel rifugio più vicino. Anche gli operai che lavoravano nel centro del paese, avvisati dal suono di questo rudimentale allarme, si salvarono dai bombardamenti scappando nella galleria del treno.
Un ringraziamento a: Rosaguta Gitto, Rosaguta G.B. (Titta), Dellacasagrande Maria, per la testimonianza storica.
Continuiamo la nostra camminata immersi tra uliveti e castagneti; ormai siamo in località Carbonara, da dove raggiungiamo punti panoramici sul Golfo Paradiso e sul ponente della nostra bella Regione. Percorrendo il sentiero, ritroviamo l'abitato della frazione e dobbiamo, per un breve tratto, percorrere la strada carrabile fino a ritrovare il sentiero tra case e boschetto di castagni raggiungiamo il luogo dove sorgono i rifugi.
Frazione di Carbonara
Questa frazione ha dato accoglienza a numerose famiglie di Recco, trasferitesi qui per sfuggire ai bombardamenti. Su questo territorio abbiamo censito due rifugi. Dopo 78 anni, Pino Pozzo, che durante la SECONDA GUERRA MONDIALE aveva 17 anni, ci racconta come realizzarono un rifugio.
Dopo il secondo bombardamento, il 27 dicembre 1943, presi dalla paura, abbiamo pensato di costruire un rifugio.
Gli artefici del progetto furono: io, Giuseppe Pozzo, classe 1926, residente in Carbonara; Giovanni Ruggeri, classe 1925, di origini bergamasche e residente in Bastia e Mario Carbone, classe 1927, residente in Carbonara. Con pochissimo esplosivo a disposizione e con l'inesperienza dei nostri 17 anni, iniziammo la traccia di quello che avrebbe dovuto essere l'ingresso del rifugio, posizionato sopra la fontana di "segià".
Venivamo derisi perché nessuno credeva che tre ragazzini potessero farcela.
Con l’aiuto di un fattorino della banca , sfollato in Carbonara, e del signor Capurro, che era in contatto coi tedeschi, riuscimmo ad avere i contatti per procurarci l'esplosivo necessario.
Così, con i documenti in regola, la vigilia dell'Epifania del 1944, mio padre, Pozzo Erilio, classe 1899, assieme a Carbone Mario, il più piccolo di noi tre, partirono per la via di Genova Bolzaneto, dove era sito il polverificio.
Riempirono due sacchi di iuta (solitamente usati per lo zucchero) della capienza di un quintale. Il primo sacco era completamente pieno di tubi piccoli di dinamite. Il secondo sacco consisteva nel carico delle rimanenze che non entravano nel primo, oltre a diversi rotoli di miccia per mina e scatole di detonatori atti allo scoppio della dinamite. Presi in spalla i sacchi, raggiunsero la fermata del tram numero 52, che percorreva tutto il litorale di Genova con capolinea Nervi (roba da matti).
Scesi a Nervi, salirono su un camion di fortuna che li portò finalmente a Recco. A questo punto portarono a spalle i due pesanti sacchi e giunsero, ricordo bene, in serata tarda a casa.
Benché fosse notte inoltrata, muniti di stampi e mazzetta e di una luce ad acetilene, andammo presso la bocca del rifugio appena tracciata e, a forza di braccia, realizzammo sei fori della profondità di circa sessanta centimetri, atti a contenere due tubetti di dinamite cada uno. Tornammo a casa molto tardi, già pensando di ritornare sul posto al mattino presto.
Il giorno successivo, all'alba, eravamo già pronti a caricare le prime sei mine, dando fuoco alle micce a regolari intervalli, onde evitare un unico scoppio. Le esplosioni produssero un tale rumore assordante, con rimbombo in tutta Carbonara e Cotulo che colse inaspettato gli abitanti.
Destati dal sonno, e non rendendosi conto di ciò che stava succedendo, li vedemmo scappare tutti dalle loro case prendendo la strada dei monti, chi in mutande, chi in camicia da notte, spogliati e noi tre a ridere a crepa pelle. Si resero tutti conto dell'accaduto e si incattivirono veramente tanto: per dei giorni noi stavamo distanti dal rifugio a causa delle legnate promesse. Ma resosi conto dell'utilità del rifugio venne sugellata la pace e fummo invitati a continuare il lavoro con tanto di bottiglia di vino e sigarette.
Per circa tre mesi, giorno e notte, si lavorò al rifugio scavato nella roccia viva per 15 metri. La spesa per comprare il materiale esplosivo fu suddivisa tra gli aderenti, si ritenne di non far pagare chi , di passaggio, usufruiva del rifugio.
Il rifugio fu poi continuato da altre famiglie in modo da realizzare due bocche.
In Carbonara esisteva un secondo rifugio: quello di Passalacqua Piero, posizionato un po’ più in alto, sotto la villa "Massa", nella proprietà della famiglia Fasce, e risultava essere un po’ più precario del nostro.
Il rifugio da noi realizzato poteva ospitare 50 persone, tra le persone sfollate c'era anche l'Arciprete di Recco, don Ferrari, che durante i bombardamenti era il primo ad entrare e da lì non si muoveva finché non cessava l'allarme. All'interno era stato realizzato anche un altarino con delle tavole di legno. Tra i soci del rifugio, venne accettata una coppia, marito e moglie, tali Pippu e Maria (avevano un negozio di alimentari in Recco) che erano sfollati presso la casa di Carbone Maria. Quando suonava l'allarme Lei faceva molta fatica perché aveva i "piedi piatti" e impegnava circa mezz'ora da casa al rifugio, così si era fatta un "baracchino" lì vicino e restava lì tutto il giorno.
Io, che mi ero nascosto nel canneto sopra il rifugio per paura dei fascisti e dei tedeschi, vidi un bel pezzo di formaggio che la signora Maria custodiva come una reliquia nel "baracchino", in attesa, sempre nascosto, me lo divoravo con gli occhi. Un giorno suonò l'allarme, la signora Maria con andatura lenta si diresse al rifugio e io, svelto come una lepre, assaporai quel formaggio.
Nei primi giorni di giugno del 1944 suonò l'allarme mentre eravamo con papà a falciare il primo fieno, io mi precipitai nel rifugio e papà mi richiamò alla calma. Dal lato di levante si udì il rumore degli aerei. Entrai di corsa e mio padre, eternamente in ritardo, varcato l'ingresso si girò per vedere: oltre le bombe che scendono verticalmente vide una grossa sagoma in discesa libera.
Urla "una bomba grossa quanto una vacca sta cadendo", ci aspettavamo uno scoppiò tremendo ma non arrivò.
Cessato l'allarme mi feci coraggio ed uscii per primo, seguito da Aldo e Michele Cervetto, nel terreno sottostante e, guardando verso il ruscello, vidi un grosso serbatoio che assomigliava a una bomba, con l'impatto della caduta si era aperto spandendo benzina e bruciando l'erba. Riuscii a riempire un fiasco di benzina e, nel frattempo, giunsero degli uomini dal rifugio e, con maniere poco ortodosse, si appropriarono del serbatoio quale cimelio di guerra.
Riprendiamo il nostro percorso sulla strada carrozzabile di Via Carbonara, raggiungiamo via Filippo da Recco per ritornare in Piazza San Giovanni Battista.
Un ringraziamento alla Famiglia Pozzo per la testimonianza
Autori del Testo: Stefania Zerega, Luisa Capurro e Francesca Quercini