I Recchelini non potevano di certo abbandonare in quella situazione la “Suffragina” e i suoi ori. Si narra che fu l’allora amministratore del Santuario, Federico Badaracco, a mettere in salvo entrambe le statue della Madonna, gli ori dono dei devoti come ringraziamento per le grazie ricevute e le preziose cappe della Confraternita.
Solo nel 1947 il Santuario tornerà ad essere agibile al pubblico e riaprirà al culto; sino ad allora i riti religiosi vennero celebrati nell’attiguo oratorio di San Martino.
Da allora numerosi sono i Rettori che hanno contribuito a riportare il Santuario ai suoi antichi fasti.
All’interno del Santuario sono conservate due statue della Madonna del Suffragio: una, adornata con uno sfarzoso abito in velluto con ricami d’oro, è posta sopra l’altar maggiore, l’altra, totalmente in legno è custodita nell’attiguo oratorio. La prima viene portata in processione ogni 25 anni durante i festeggiamenti dell’incoronazione ed esposta solo in altre rare occasioni: tra tutte si ricorda l’esposizione sul sagrato e la processione per le vie cittadine l’8 settembre 2020 durante la pandemia causata dal Covid-19; la seconda viene esposta ogni anno durante la novena che precede le solenni celebrazioni della festività di N.S. del Suffragio e portata in processione attraverso le vie cittadine la sera dell’8 settembre.
Da qui proseguiamo verso nord lungo via Roma, facendo la stessa strada che fecero i fedeli nel 1943 per mettere in salvo i preziosi averi del Santuario, sino all’altezza del “ponte in ferro” che attraversa il torrente Recco e ci addentriamo in Salita Faveto sino al cancello di Villa Badaracco.
Questo è un classico esempio di rifugio ad una sola bocca formato da due stanze contigue il cui accesso era stato ingegnosamente posto sotto una panca. Fu da questo luogo, che ancora oggi è “sacro” per i devoti, che il 17 giugno 1945, alla fine del secondo conflitto mondiale, partì la processione con cui la Suffragina e i suoi ori tornarono dapprima nell’oratorio di San Martino e poi, nel 1947, nel Santuario nuovamente agibile.
Nei pressi di Villa Badaracco si nota una lapide posta nel 1958 a ricordo di questi accadimenti.
Proseguendo verso nord il sentiero che taglia la collina, si raggiunge agevolmente la ridente località di Faveto.
A fianco alle abitazioni in pietra ogni capanno, stalla o rifugio veniva convertito ad abitazione per ospitare parenti, amici o semplici famiglie genovesi che dal capoluogo si rifugiavano qui alla ricerca di un po' di tranquillità. La durezza della vita in quegli anni fece nascere una grande solidarietà tra vicini di casa “improvvisati” che spesso diventavano “più che parenti”. La famiglia Ferreccio per esempio creò un forte legame con la famiglia Priano: i primi coltivavano la terra e quindi offrivano a questa “famiglia allargata” ortaggi e frutta mentre i secondi, che venivano da Genova, portavano quanto di utile riuscivano a trovare in città. Tra le numerose famiglie di Recco che trovarono riparo qui ricordiamo la famiglia Squassafichi e la famiglia De Barbieri, medici sia il padre che il figlio che hanno fatto nascere generazioni di Recchelini.
Da qui proseguendo il sentiero si giunge su uno spiazzo dove sorge la Cappella dell’Ascensione.
Numerose sono le storie di vita vissuta che si potrebbero narrare ma quelle che sicuramente maggiormente sono rimaste vive nei ricordi di tutti sono: la nascita di un bambino nella Cappella, proprio durante uno dei numerosi raid aerei, e i cappotti della sorelle Badaracco Carola e Maria, con gli ori della Madonna cuciti nella fodera e I loro zaini riempiti coi canti dei Crocifissi.
Oggi qui si celebrano l'Ascensione del Signore e la Madonna della Guardia ma negli anni passati si festeggiavano anche San Bernardo e San Camillo.
Attualmente sul piccolo campanile della Cappella è presente un'unica campana che un tempo era collocata sull'antico campanile dell'allora Oratorio di N.S. del Suffragio, testimonianza questa dello stretto legame tra i due edifici religiosi.
Da qui imbocchiamo il sentiero pianeggiante immerso tra castagni e corbezzoli e proseguiamo sino alla fonte denominata Cana.
La ricchezza d’acqua della zona fece sì che il terreno circostante venisse utilizzato sia per le coltivazioni che per l'allevamento degli animali. In particolare, il latte delle mucche veniva utilizzato per sfamare i neonati.
Durante il periodo bellico in questa zona sorsero anche numerosi capanni per ospitare gli animali.
La desolazione e la tristezza di quelle giornate fecero crescere tra le famiglie stretti legami: il triste destino degli sfollati creava legami più forti del sangue e della fame che ancora oggi resistono.
Numerosi sono gli aneddoti che si narrano su questo rifugio: dalle signore anziane che invitavano i giovani a far silenzio per evitare che gli aerei li sentissero, alla ricca signora che correndo verso il rifugio lanciava banconote per liberarsi del peso superfluo.
Da qui è possibile proseguire il percorso e raggiungere dapprima località Verzemma e seguendo l’antica “creuza” raggiungere via dei Ponti Romani a San Rocco di Recco.
Si ringraziano per le testimonianze Carlo Ferreccio e Guido Ditel