Carletto, Carletto, Carletto dove sei?
Vieni a casa, che è ora di cena!
Il 10/11/1943, Carletto, scatenatissimo bimbo di quattro anni, come ogni giorno, che ci fosse il sole o meno, passava la giornata a scorrazzare per le fasce aiutando il papà a raccogliere le olive o a fare piccoli lavori di manutenzione: insomma in ogni attività che gli permettesse di stare fuori casa. E quella sera, come tutte le altre, stava bighellonando in giro per le fasce e la nonna sull’uscio di casa si sgolava per farlo rientrare. Da poco in famiglia era arrivata una sorellina e questo aveva scombussolato un po' le loro abitudini. Solo una cosa rimaneva costante: l’iperattività di Carletto. La famiglia, dopo aver cenato, era pronta per coricarsi. Carletto e la piccolina riposavano nei loro lettini già da qualche ora quando un forte boato gli svegliò e tutta la famiglia d’un tratto iniziò a vedere Recco illuminata a giorno. Erano iniziati i bombardamenti che cambiarono la vita di tutti. Carletto non riusciva ad allontanarsi dalla finestra, era rapito da quello spettacolo che non comprendeva appieno. Un’immagine lo colpì: una bomba era caduta nei pressi del Santuario e si vedevano, anche se da distante, gli importanti danni subiti dalla struttura. Carletto e la sua famiglia abitavano in località Faveto e da lì non si comprendeva pienamente l’entità dei danni che il bombardamento aveva causato, ma di certo la vita della città cambiò. Nei giorni successivi anche la vita della località dove erano presenti all’epoca non più di 8 famiglie cambiò radicalmente; infatti, diedero ospitalità ad altrettante famiglie accogliendole in casa o nei fienili e nelle stalle presenti. Per Carletto tutti questi nuovi abitanti furono dei nuovi amici. Le giornate divennero piene di nuove attività. Accanto a quelle tipiche del mondo contadino, vi era un fermento di piccole nuove costruzioni per creare alloggi e rifugi di fortuna per chi ne avesse necessità. Nella casa vicino a Carletto si era trasferita la famiglia del dott. De Barbieri che tutti i giorni si recava a curare i suoi pazienti nelle varie frazioni di Recco. Il figlio invece era sempre curvo sui libri: studiava per diventare medico ed era sempre tanto assorto nello studio che dovevano trascinarlo via quando passava Pipetto e bisognava correre al riparo nei rifugi. In cima alla collina di Faveto vi è la Cappella dell’Ascensione anch’essa diede ospitalità agli sfollati.
Carletto osservava l’arrivo di due strane signore che indossavano ampi cappotti e portavano pesanti zaini che le incurvavano: erano le sorelle Carola e Maria che insieme al fratello Mario avevano messo al sicuro nel rifugio da loro costruito presso Villa Badaracco le statue e gli oggetti di valore della Suffragina. Carletto e il suo amico Nicola le scrutavano sempre con curiosità e scoprirono che quegli strani cappotti erano stati confezionati su misura per nascondere gli ori della Suffragina. Gli zaini invece contenevano i “canti” dei Cristi e per questo quando correvano per mettersi al riparo riproducevano un tintinnio che li incuriosiva.
I due amici, ormai inseparabili, erano affascinati da Mario che raccontava loro come realizzò il suo primo rifugio e proprio all’Ascensione predispose dei piccoli camini nel lato verso Verzemma per poter accendere delle stufe all’interno della Cappella.
Una signora di Faveto per tenere bravi i bambini narrava loro che quando si svolgeva la festa dell’Ascensione sul sagrato della Cappella arrivavano venditori di reste di nocciole e che c’era la musica: Carletto e Nicola sognavano quel momento per assaggiare quelle famosissime nocciole inoltre volevano ascoltare il suono della campana che era stata donata anni prima direttamente dal Santuario. In quel lungo inverno un evento particolare segnò la vita degli abitanti di Faveto: un bambino nacque proprio nella Cappella durante uno dei bombardamenti.
Mario che non aveva studiato ma si poteva definire come un ingegnere pensò di realizzare il suo secondo rifugio e scelse di farlo nella Canà: a metà strada tra l’Ascensione e Verzemma, un luogo dove donne e bambini si recavano quotidianamente. Le mamme lavavano i panni e i bimbi giocavano con le sorgenti d’acqua. Qui erano state messe al riparo le mucche: Carletto e Nicola al pomeriggio si nascondevano nei fienili e approfittavano dei momenti di distrazione dei grandi per fare merenda col latte appena munto. Un pomeriggio anche gli abitanti di Faveto si misero in sicurezza nei boschi di Merlea e nel fuggire un’anziana signora a cui si strappò lo zaino perse i propri averi. Nicola e Carletto da bravi bambini li raccolsero mettendoli nella coperta che la mamma gli aveva dato e li restituirono alla malcapitata signora.
In conclusione in quegli anni tristi nacquero tra gli sfollati e gli abitanti della zona solide amicizie giunte sino ad oggi.